11 Maggio 2023

Odg “UNA TARGA PER ANASTASIO MATTEUCCI”

Davide Buonocore

Premesso che

le prime richieste delle spoglie di Dante Alighieri da parte dei fiorentini nei confronti dei ravennati arrivarono nello stesso secolo della morte del poeta, alla fine del ‘400. In quell’epoca Dante era sepolto in un sarcofago all’esterno della Basilica di San Francesco, dove erano stati svolti i funerali.
i frati della Basilica negarono con forza lo spostamento delle ossa di Dante, e i fiorentini non poterono traslarle.

Ma all’inizio del ‘500, quando al soglio pontificio salì un papa di origine fiorentina, Leone X figlio di Lorenzo de’Medici, le cose sembrarono andare a vantaggio di Firenze. E così, nel 1519, una delegazione fiorentina raggiunse Ravenna, all’epoca parte dello Stato della Chiesa, per prelevare le ossa e portarle a Firenze. La tomba fu aperta, ma il suo interno riservò un’amara sorpresa ai fiorentini: le ossa erano sparite. I frati francescani, infatti, avevano praticato un foro nel muro posteriore e nel sarcofago, prelevando le ossa e nascondendole al sicuro. Il sarcofago con le ossa di Dante venne conservato gelosamente nel chiostro del convento per oltre due secoli sino a quando, nel 1781, l’architetto Camillo Morigia progettò l’attuale tomba. I frati acconsentirono allora a restituire le spoglie e il sarcofago del poeta, che trovò pace nel nuovo mausoleo a lui dedicato.

Nel 1796 in Italia si abbatte l’uragano di Napoleone Bonaparte, e il 25 aprile del 1810, durante il Regno d’Italia, gli ordini religiosi vengono interamente soppressi. I francescani sono costretti a lasciare il convento, ma decidono di non abbandonare il poeta nelle mani dei bonapartisti e prelevano le ossa dal sarcofago per la seconda volta: le nascondono in una cassetta di legno, che viene murata nel chiostro di Braccioforte, adiacente alla tomba. Sulla cassetta scrivono semplicemente ossa Dantis.

E così passano gli anni. Ravenna, dopo il congresso di Vienna del 1815, torna nei domini dello Stato pontificio, ma delle ossa di Dante non si ricorda più nessuno;

considerato che

a nessuno conviene rivelare che il sepolcro di Dante è vuoto: non ai fiorentini, che ci farebbero una ben magra figura, non ai francescani, che ammetterebbero la loro colpa, e nemmeno al papa Leone X, preso da ben altri problemi. E così per tre secoli a quella tomba andarono in pellegrinaggi o, pensando di onorare i resti mortali del sommo poeta, tra gli altri, Guicciardini, Ariosto, Tasso, Alfieri, Foscolo, Leopardi, Byron, Oscar Wilde.

rilevato che

si arriva così al 1865, sesto centenario della nascita dell’Alighieri. L’Italia è unita, e il fervore delle celebrazioni si sposa bene alla retorica risorgimentale: si eseguono quindi dei lavori di restauro e abbellimento della “zona dantesca”. Il 27 maggi o1865 un operaio, Pio Feletti, è analfabeta e non riconosce la scritta che avevano realizzato i frati 55 anni prima, e l’urna sta per essere buttata insieme alle altre macerie. “Alla seconda martellata si udì un cupo rimbombo, che accennava non più alla dura pietra, ma più precisamente all’esistenza nel cavo del muro di un legno vuoto. Il Feletti gridò allora abbastanza forte per essere udito e nel più piatto dialetto romagnolo: ai sè, burdel (ci siamo ragazzi), volendo certo alludere alla speranza sua di rinvenire in quel muro un tesoro …Dette queste parole, menò di gran forza un colpo spietato sulla pietra esterna del muro, che  in parte si sfasciò, lasciando cadere in grembo al Feletti, che nella posizione in cui era facilmente l’accolse, una cassetta di legno contenente ossa umane” scrive in una versione non ufficiale, ma più informale, l’avvocato bolognese Enea Mazzotti in una lettera indirizzata a Giosuè Carducci, desideroso di sapere da un testimone oculare i particolari dell’evento. Tradito nella sua speranza di trovare un tesoro, Feletti fece l’atto di gettare cassetta ed ossa. Ma lo studente Anastasio Matteucci, che ben conosceva il latino, legge le parole che avevano scritto i frati oltre mezzo secolo prima: “Dantis ossa a me frate Antonio Santi hic posita” e urla:”Sono le ossa di Dante!” Erano state ritrovale le ossa che il mondo intero aveva sempre creduto dentro al sepolcro, era stato ritrovato uno scheletro pressochè intero, di color rosso scuro, ben conservato, cui mancavano tre piccole falangi di un dito;

Tenuto conto che

Giuseppe Matteucci, in occasione del settimo centenario della morte di dante, ha pubblicato, sotto l’egida dell’Associazione ex-alunni del Liceo-Ginnasio “Dante Alighieri” di Ravenna, una “Ricerca sulla identità del giovane Anastasio Matteucci che il 27 maggio 1865 salvò le ossa di Dante dalla loro dispersione”. Consultando i registri dei battezzati custoditi nell’archivio di S. Giovanni in Fonte (Duomo di Ravenna) dove, nel corso dell’Ottocento, venivano celebrati tutti i battesimi dei bambini nati nelle varie parrocchie della città, si è scoperto che esiste un solo Anastasio Matteucci, nato dall’avv. Cherubino Mattteucci e da Angela fu Pellegrini Ghigi, battezzato il 12 aprile 1846. Una nota apposta con calligrafia differente a margine indicava che Anstasio era il fratello maggiore di Pellegrino Matteucci, diventato poi un famoso esploratore. Ma nel sito dell’Università di Bologna risulta un Matteucci Anastasio, laureatosi in Giurisprudenza il 22 marzo 1871, nato però a S.Alberto, frazione di Ravenna, figlio di Francesco e Domenica Moreschi, quattro giorni prima dell’altro. Dalle varie testimonianze raccolte, risulta che il giovane, meritevole di essere ricordato per aver preservato le ossa di Dante dalla dispersione, è proprio quest’ultimo: Anastasio Matteucci nato a S.Alberto il 7 ottobre 1846, da molti indizi cugino dell’altro Anastasio, che nel 1862, cioè tre anni prima dell’avvenimento si era trasferito con tutta la famiglia a Bologna

IMPEGNA IL SINDACO E LA GIUNTA

a ricordare il nome del giovane studente che ritrovò le ossa di Dante aggiungendo al già esistente Vicolo Matteucci di S.Alberto il suo nome (Vicolo Anastasio Matteucci) e apponendovi sotto una targa che narra l’episodio, con la seguente dicitura:

(da una lettera di Enea Mazzotti a Giosuè Carducci)

27 MAGGIO 1865

IL GIOVINE MATTEUCCI GRIDO’

FERMATI, V’E’ DELLO SCRITTO SYLLA CASSETTA!

A QUESTE PAROLE DEL MATTEUCCI
IL FELETTI ALZO’ LA CASSETTA E LA RIPOSE

IN BRACCIO DEL MATTEUCCI STESSO
CHE LESSE LE FAMOSE PAROLE

 DANTIS OSSA A ME ANTONIO SANTI HIC POSITA

E QUINDI A VOCE ALTA GRIDO’

SONO LE OSSA DI DANTE!

Daniele Perini              Capogruppo   comunale  “Lista de Pascale Sindaco”