“La stanza delle anime”
La porta si aprì e due uomini, ognuno con uno strumento musicale sottobraccio, entrarono. Il primo, il volto segnato dalla vecchiaia, si sedette sulla brandina; il secondo, più giovane, raggiunse la stufa al centro della stanza.
– E questa? – disse l’anziano indicando la donna per terra, raggomitolata sulla custodia di un violino.
– Ora ci divertiamo! – disse il giovane insinuando una mano sul petto della donna. – Senti che roba! –
– Bastardo! – Urlò l’altro spingendolo per terra. Al grido la donna si scosse e aprì gli occhi pieni di terrore.
– Где я? – domandò con un filo di voce.
– È russa. – rispose il vecchio. – Не бойся. Вы среди друзей . Вы еврей?
Lei annuì.
Il giovane, sollevatosi, fece un inchino grottesco dicendo. – Benvenuta all’inferno, madame! –
La donna sì alzò a fatica appoggiandosi al muro ma si tappò la bocca per trattenere la nausea; il conato si sparse inarrestabile. – Signora! – disse il vecchio già proteso per sorreggerla.
– Ecco, ci mancava solo questo! – ringhiò l’altro.
– Coraggio, ora passa. – e girandosi – Prendi l’acqua… e una galletta. – E porgendo quel poco – L’intinga nell’acqua, altrimenti spezza i denti – mentre il giovane, buttata della cenere sul liquido nauseabondo, strofinava.
– Joseph Hayym, prima viola dell’orchestra di Lublino. – disse il vecchio sorridendo.
– Chaim Strelher, clarinettista della “Tymon Jazz Ensamble”, purtroppo ebreo. – replicò con sarcasmo riavvicinandosi alla stufa.
– Rachele. – con voce attonita – Dove siamo? –
– In un campo di concentramento… e di morte. – rispose Joseph. Proseguì, mentre lei si portava una mano alla bocca spalancata in un urlo che non uscì. – Le SS hanno allestito” l’orchestra” per illudere chi giunge con le tradotte. Eravamo in cinque. Per questo è viva. – disse indicando il violino. Rachele si girò verso la finestra, percependo solo ora un cupo rombo lontano.
– Hanno acceso i forni. Presto il “lavoro” comincia. Chi c’era, con lei? – chiese Chaim andando alla finestra senza tradire nessuna emozione.
– I miei familiari e… le mie due gemelle… Tamara e Noemi. Tamara era già morta. Noemi è stata portata via da un dottore. Lei… si salverà? – chiese con tono implorante.
Abbassarono gli occhi.
– Non possono, non possono… – e si prese la testa tra le mani, non trattenendo il pianto. Joseph appoggiò una carezza sui capelli che rimase lì, immota. Rachele, illuminata dalla luce lattiginosa del pomeriggio, gemeva sommessamente
– Quanti? – chiese senza voltarsi Chaim. – Diciassette, forse diciotto. – E continuando. – Eccoli là i più giovani e i più forti tra gli ebrei. Quale peso devono sopportare? Vanno avanti e indietro tra le porte delle camere più scure dell’inferno; e noi qui, dietro le quinte in attesa di entrare in scena. Guardateli i più infelici tra noi, costretti a subire la pena più grande, carnefici e vittime allo stesso tempo. Ma preferisco morire, piuttosto che essere né vivo, né ancora morto, come loro. –
– Né vivo, né morto? – chiese Rachele.
– Il
Chaim urlò: – Golem! Golem al servizio del Reich! –
Cadde tra loro, l’oblio. La luce naturale cedette il posto al bagliore arancione e alla fredda luminescenza delle lampade del campo.
Un’ombra, infine, si mosse e subito dopo apparve l’incerto tremolare di candela, ultimo barlume di realtà, che avanzava dentro il non buio, l’assenza, il vuoto tra corpi compressi nell’attesa della fine, lasciando una debole scia di stella cadente, sino a quando non andò a posarsi sul tavolo, allungando lunghe e sinistre caricature sulle pareti.