“Il coraggio in tasca”
“Mamma vado fuori a giocare!” urlò la vocina stridula di Evan facendo Capolino dalla porta a soffietto, che divideva la sala dal piccolo cucinino, dove Iman passava gran parte delle sue giornate.
Erano le 19.00; il sole scaldava ancora l’arida sterpaglia bruciata dalla siccità che circondava la vecchia abitazione di quel piccolo paesino. Le mura ormai scrostate e grigie facevano subito intendere quanto Kidane fosse bravo con carta e penna e poco per i lavori di casa. Il suo era quello che risultava un mestiere difficile in un paese come il loro, in cui la libertà di pensiero non era proprio all’ordine del giorno: il giornalista. Iman per anni aveva desiderato che il marito si dedicasse ad un impiego più tranquillo.
Quando Kidane quella sera non rientrò per cena perché arrestato in seguito ad un suo articolo considerato scomodo e, in poco tempo giustiziato, ebbe la conferma che non si era sbagliata. Non c’era mai un vero e proprio perché, e nemmeno un giusto processo.
L’atrocità con cui venne condannato e ucciso, e la paura che potesse accadere anche a lei o addirittura al suo piccolino senza alcuna ragione particolare, le fece decidere di cambiare i loro destini in un attimo.
I risparmi di una vita custoditi in un vecchio barattolo di latta, nascosto tra i sacchi di farina, servirono per comprare il viaggio della speranza. Scappare, verso l’unica via d’uscita dagli orrori che non avrebbero tardato a venirli a cercare, su una carretta del mare verso quella tanto agognata meta che ad un tratto era diventata l’unica opzione.
“Mamma vado fuori a giocare!”.
Dopo ben tre lunghi anni, Iman sentiva ancora echeggiare la voce di suo figlio in ogni dove, forse nella vana speranza che un giorno avrebbe potuto risentire la sua spensierata risata. Il suo esile corpicino era stato inghiottito dal mare proprio quando, dopo anni di fuga, fame e atrocità sembrava invece che la grande Europa fosse vicina.
Il viaggio aveva avuto un prezzo molto più alto di quello richiesto dai trafficanti; pesanti interessi che non aveva calcolato, regalandole solo fame, tormenti e quella paura incontrollabile con cui aveva dovuto fare i conti ogni giorno.
La ricerca della salvezza le era costato tutto. Il suo corpo le avrebbe ricordato per sempre gli abusi e le molte violenze subite. La sua mente non le avrebbe permesso di dimenticare le grida delle sue compagne, consumate e uccise dall’avidità dei loro aguzzini, torturate per appagare piaceri come se non fossero persone ma solo oggetti da usurare.
Le sue braccia ogni notte avrebbero continuato a stringere il suo piccolo angelo.
Oggi la giovane Mina ha preso il posto di Iman con un semplice anagramma. Bisogna andare avanti e continuare a premere sull’acceleratore nonostante tutto si ripeteva.
Il Covid-19, la quarantena, la paura del contagio non sarebbero stati niente in confronto agli anni passati in fuga, esiliati dal mondo, senza nient’altro che il proprio coraggio in tasca.