“Marisa”
Di nuovo. Non ricordo. Come si chiamava la Marisa? Ieri che non ci pensavo ecco che subito mi è venuto in mente il cognome e stamattina che lo voglio riprendere, niente, niente di niente. Mi scivola via pure il volto. Ma dove ho messo la sua foto? Forse è la mattina grigia e il poco dormire che mi lasciano vuota. Stanotte non ho fatto altro che rigirarmi nel letto. Alle quattro, ho sentito i passi del ragazzo che abita di sopra. Finisce il turno di pulizia del locale all’angolo. E’ un bel giovane scuro come il carbone, che viene da … viene da …ma da dove viene? Non ci posso credere, me l’avrà detto mille volte con quel sorriso che si illumina e t’illumina. Ha denti così bianchi e perfetti che sembrano fatti per dar luce.
Fuori c’è solo nebbia. Che nebbia! Sono le cinque e il palazzo ci annega dentro. Neppure la luce dei lampioni rischiara. Solo sbiaditi chiarori, cerchi indefiniti nel nulla. Il cielo è come la mia testa, confuso e immobile .. senza luce.
Ma come si chiamava la Marisa? Perché non mi viene in mente in questa testa bislacca? E’ tre anni che non c’è più. O forse chissà se è vero che sono proprio tre anni. Se trovo la foto del funerale c’è scritta la data. Ma dove l’ho ficcata? In sta credenza ci sono tutte, tranne la sua. Sembra un dispetto quando cerchi le cose loro se la danno a gambe … forse è così per altri vecchi.
E poi mi domando perché quando stavamo bene non ci siamo scattate una bella immagine insieme, con quelle facce rugose e piene di voglia di ridire. Perche la Marisa mi tirava su, anche da quei magoni che piegavano le ginocchia e mi levavano la voglia di alzarmi dal letto.
Senza il suo cognome, mi pare d’offenderla, una mancanza non giustificabile della mia smemoratezza. Le cose importanti s’appuntano, se le scordi devi scriverle.
La sua memoria era di ferro, lucida e allegra fino al suo ultimo giorno. Una riserva anche per me.
Eccola! Finalmente eccoti qua Marisa. Marisa Cerchierini … ce l’avevo sulla punta della lingua e mi scappava via. Sono due anni esatti oggi, ma guarda un po’ che coincidenza. Ecco perché ti cercavo con tanta foga. Ti meriti un bacio, sei tu che mi sei venuta incontro. Mi raccomando fammi posto se c’è un di là. Tu ci credevi e mi ripetevi che la prima che si degnava di oltrepassare il confine, doveva tener caldo il posto all’altra. La foto è qui nel tuo foulard ripiegato. Dopo di te la solitudine è stata un uncino, con il timore di non farcela da sola. Non mi piace far entrare in questa casa una donna che non conosco, e non mi piace che mi si metta in quei luoghi per vecchi. Mi fa paura perdere il cordone dei pensieri.
Marisa, Marisa ho bisogno di riportarti da me per dar filo da torcere alla dimenticanza, per fargli vedere che se ti riprendo posso ancor permettermi un poco il lusso dell’autonomia. Non voglio precipitare oltre il buio che acceca la memoria. E’ una terra d’esilio che mi fa tanta paura.