MIHRETU GHIDE

Cantautore eritreo originario di Barantu. Mihretu usa la lingua tigrina e suona il Krar, un cordofono tradizionale dell’Africa orientale che si declina in diverse varianti morfologiche.

Approdato in Italia, nella baia di salerno nel 2007. Questo eritreo alto e magro non si fermava da anni. Da quando, per fuggire dal servizio militare a tempo indeterminato nel suo paese, aveva tentato di attraversare il Mar Rosso, perdendo un amico nel viaggio e riparandosi poi in Sudan. Da qui in Libia e infine in Italia. “Ci ha salvati un pescatore siciliano, che ci ha portati a Lampedusa; dopo poche settimane avevo già il documento come rifugiato, ma in Italia non conoscevo nessuno”. Il krar, una sorta di lira a 5-6 corde che suonava fin da bambino, era un pensiero lontano.

“Ho raccolto i pomodori nella piana di Foggia, come continuano a fare oggi molto rifugiati, ho dormito nelle stazioni, nelle baracche”. Finché un connazionale gli parla dei progetti di integrazione del Servizio Per Richiedenti Asilo e Rifugiati del ministero dell’Interno. Arriva così a Salerno, dove inizia a studiare italiano ed entra in contatto con i Panacea, band del percussionista Michele Longo. “Lì ho ripreso in mano il krar, grazie a un amico italiano che me ne ha costruito uno, e ho iniziato a comporre”. “Zemen”, uscito a giugno 2015 a nome Mihretu Ghide & Panacea, include nove tracce “come le nove tribù dell’Eritrea, ognuna con una sua musica particolare, che ho voluto omaggiare”. Ritmi travolgenti e testi in tigrino, con inserti in dialetto campano, e in chiusura l’inglese di “He’s a friend”, pezzo “dedicato ai rifugiati, che sono i rivoluzionari, i ribelli della nostra epoca e per questo vanno accolti e ascoltati, senza paura”.

Nel 2016 è stato ospite al Festival delle culture – X edizione di Ravenna.