Resilienza

Perché si parla di resilienza

In situazioni sempre più vicine alla nostra quotidianità, si sente parlare di resilienza. Un termine utilizzato un tempo solo in settori estremamente specializzati come la scienza dei materiali, la psicologia, l’ecologia e ora entrato anche nell’ambito della pianificazione territoriale. Vengono definiti resilienti territori, città, persone, comunità, boschi, ponti. Ma cosa accomuna queste definizioni? Un bosco e una persona presentano lo stesso tipo di resilienza? Va fatta un po’ di chiarezza sull’uso di questa espressione e sul perché, nell’ambito del PUG e della pianificazione territoriale e urbana sia un concetto importante da recepire e tradurre in azioni concrete

Cos’è la resilienza, significato e usi

L’etimologia della parola è di origine da latina, e va rintracciata alla voce resilire, che si traduce con saltare indietro, ritornare in fretta, di colpo, rimbalzare, ripercuotersi.

Con resilienza oggi ci si riferisce ad una precisa caratteristica di un sistema. Si propone l’accezione utilizzata nel glossario del PNACC (Piano Nazionale di Adattamento al Cambiamento Climatico, Ministero dell’Ambiente, 2017) per cui la resilienza va intesa come “la capacità di un sistema sociale, economico o ambientale di far fronte a un evento pericoloso, o anomalie, rispondendo e riorganizzandosi in modo da preservare le sue funzioni essenziali, l’identità e la struttura, mantenendo tuttavia anche le capacità di adattamento, apprendimento trasformazione.”

La definizione è ampia e articolata e si adatta a più ambiti e circostanze, per cui, per un utilizzo appropriato del termine, andrebbero contestualizzati sia il sistema di partenza a cui ci si riferisce, sia il tipo di perturbazione o evento rispetto il quale tale sistema si dimostra appunto resiliente, evitando il collasso.
Un sistema non resiliente si definisce vulnerabile.

E’ utile fare degli esempi per scendere nel particolare dei settori in cui il termine assume dei significati specifici e facilmente rintracciabili nel lessico comune, che a volte però rischiano di generare confusione.
In tecnologia è una caratteristica meccanica dei materiali. Il suo contrario è l’indice di fragilità. Quindi un ponte (sistema) si rivela resiliente a seguito, per esempio, di un terremoto (perturbazione) quando continua a garantire le funzioni strutturali.
In psicologia, è la capacità di reagire di fronte a traumi, difficoltà; si pensi dunque a un individuo (sistema) che subisce una perdita o uno shock emotivo (perturbazione) e una reazione attiva verso questa perdita.
In ecologia può esprimere la capacità di un ecosistema di autorigenerarsi. Un bosco misto perenne (sistema) può essere più resiliente verso un evento meteorico estremo come un’alluvione, una tromba d’aria, una mareggiata (perturbazione) di un bosco monospecifico ceduo.

Fig. 1 – La differenza tra il concetto di resilienza in campo ingegneristico e in campo ecologico, definita ball-and-cup heuristic

Resilienza e pianificazione
Il termine resilienza si estende alla pianificazione in tempi relativamente recenti, in relazione alla predisposizione di un territorio nel poter fronteggiare dei rischi a cui risulta suscettibile. Rischi che possono essere di orgine naturale, antropica e anche sommarsi. Si pensi a un’alluvione, un terremoto, un incendio, o anche eventi meteorici estremi, inquinamento, erosione costiera, siccità.
In parole semplici aumentare la resilienza significa diminuire la vulnerabilità e l’esposizione del sistema città-territorio rispetto una potenziale minaccia. Il Cambiamento Climatico in atto rappresenta in uno scenario dinamico un fattore peggiorativo e amplificatore di molti rischi già presenti.
Questo fa si che la conformazione attuale del territorio non sia sempre in grado di rispondere positivamente a una “perturbazione” esterna come in passato. Gli scenari di rischio cambiano nel tempo, anche in funzione delle trasformazioni a cui una certa zona è sottoposta: l’uso del suolo, lo sfruttamento delle risorse, l’attitudine di un luogo ad accogliere certi processi di trasformazione piuttosto che altri influiscono sull’esposizione ai rischi. Da qui l’esigenza di ridurre la vulnerabilità, aumentando la resilienza, sia agendo sulle cause dei rischi stessi (mitigazione) riducendole, sia attraverso interventi e trasformazioni che rendano il sistema territorio-città adatto a rispondere positivamente ad una minaccia (adattamento).
Le città si modellano intorno ai rischi a cui far fronte e viceversa. In questo continuo processo di adattamento sono nate le mura urbiche secoli fa, terrazzamenti agricoli per ridurre il rischio idrogeologico a seguito degli importanti disboscamenti, dighe, canali, ecc. E’ una storia antica come la civiltà. Come già detto il territorio è in continua trasformazione e la stessa pressione antropica concorre a un’evoluzione dei rischi (il Cambiamento Climatico è un esempio), aumentando il grado di complessità del problema.
Per cui la gestione di tali problematiche deve passare per un processo di pianificazione e concertazione, ribadito nella LR 24/17 “Disciplina Regionale sulla tutela e l’uso del territorio”, all’interno della quale si inserisce il PUG (Piano Urbanistico Generale).

Cosa si può fare, un esempio
Si riporta un esempio di come si possa aumentare la resilienza di una città dando risposta alla situazione critica che spesso si genera a seguito di eventi meteorici estremi, sempre più frequenti e rilevanti.
La rete infrastrutturale esistente per la gestione delle acque superficiali (come canali, argini, ecc) e sotterranea (fognature) è normalmente predisposta ad accogliere un certo volume di acqua distribuito entro una certa soglia temporale. Negli ultimi tempi questi eventi meteorici si presentano in maniera più intensa. Significa che nello stesso lasso temporale si ha una maggior quantità di volume d’acqua da dover gestire. Il sistema idrico rischia quindi di entrare in crisi e l’acqua, prima di defluire, rimane in superficie generando situazioni di disagio, come alluvioni.
A ciò si somma un lato paradossale di questi fenomeni estremi legato alla configurazione territoriale attuale. Le infrastrutture idriche vengono utilizzate principalmente per la distribuzione e il deflusso, non per lo stoccaggio dell’acqua o per la ricarica degli acquiferi. Aumentare la sola efficienza del sistema infrastrutturale significherebbe velocizzare il deflusso, comportando tra l’altro costi molto elevati. Una soluzione già testata in diverse realtà italiane e straniere, è quella di prevedere della aree permeabili allagabili (green-blue infrastructure), che collaborino con la rete infrastrutturale esistente, convogliando parte dell’acqua verso queste zone appositamente predisposte, alleggerendo quindi il carico del sistema fognario e di canali e consentendo, attraverso un deflusso lento la ricarica degli acquiferi, il miglioramento del microclima, l’aumento di dotazioni ecologiche, il contenimento dei costi.
Le caratteristiche di queste aree sono l’esito si scelte progettuali specialistiche in cui viene ridefinita una nuova topografia, la tipologia di vegetazione, l’estensione. Così anche per la localizzazione: deve essere calcolata e pensata in punti strategici, tenendo conto dei parametri di rischio, della natura dei luoghi e dei suoli, della topografia esistente, di parametri ambientali come la qualità delle acque da reimmettere in falda e passa necessariamente per un processo di gestione e pianificazione del territorio su molte scale. Queste aree possono essere in città (parchi, giardini), nelle zone periurbane, negli spazi verdi di risulta (spartitraffico, rotatorie), al lato di argini fluviali. Ogni intervento ha una sua importanza. Chiaramente la gestione di un rischio di esondazione fluviale avrà una risposta progettuale con le dovute analogie e differenze rispetto la gestione delle acqua di quartiere. E’ importante che la pianificazione individui i luoghi adatti a questo tipo di operazioni e li metta a sistema trattandole come delle vere e proprie infrastrutture connesse tra loro e a servizio di un territorio.

Fig. 2 – Infrastrutture per gestione delle acque a confronto. Da “LID, Low impact development, a design manual for urban areas”, School of Architecture University of Arkansas

Conclusioni
Per rendere efficaci certe pratiche e misure volte ad aumentare la resilienza di un luogo è fondamentale conoscerne a fondo la configurazione originale e le trasformazioni a cui è stato sottoposto nel tempo; i rischi di natura ambientale e antropica presenti e potenziali e le relative cause ed effetti; raccordare la piccola scala con quella territoriale pensando ad affrontare il problema in maniera sistemica e integrata. Rendere un territorio più resiliente significa passare per un processo di adattamento, che spesso implica delle trasformazioni inevitabili, come l’esempio delle aree allagabili. Trasformazioni che spesso riavvicinano quel luogo alla sua natura in assenza delle continue manutenzioni operate dall’uomo.

Ravenna oggi si presenta come un territorio estremamente antropizzato, frutto di secoli di trasformazione che lo ha radicalmente allontanato da quella che sarebbe la sua vocazione. Questa condizione la rende particolamente fragile e vulnerabile e più di altri luoghi legata necessariamente ad una pianificazione capace di concertare tutte le forze in gioco, proprio per limitare e contenere le criticità già presenti ed evitarne di nuove.

Testi:

Vittoria Mencarini, architetto