Gli Enti firmatari del presente documento intendono portare a conoscenza del Ministero degli Interni la gravissima situazione che si è determinata nel territorio della Provincia di Ravenna in seguito all’applicazione delle modifiche introdotte dalla legge 94/09 all’art. 32 dlgs. 286/98 e succ. mod. (di seguito T.U.), in materia di conversione del permesso di soggiorno al compimento della maggiore età del minore straniero non accompagnato. Nel territorio ravennate 83 ragazzi rischiano di non poter mantenere una posizione giuridica regolare in seguito al compimento dei 18 anni. Tra questi, 45 hanno avviato percorsi di assistenza prima dell’8/8/2009, data di entrata in vigore della legge 94/09.
La disposizione citata così modificata ha l’effetto di interrompere in maniera netta al compimento del 18° anno i percorsi di integrazione e formazione di tutti quei minori stranieri non accompagnati che sono entrati in Italia dopo il compimento del 15° anno. Sono evidenti le ricadute a livello di ordine pubblico di un tale provvedimento. L’art. 32 si inserisce in maniera non organica nel nostro ordinamento, creando palesi contraddizioni a livello di diritto e delle prassi con principi, norme e procedure dettate a tutela del “superiore interesse del minore”. La fondamentale importanza della tutela dei minori è stata più volte richiamata nel nostro ordinamento dalla normativa internazionale, comunitaria e costituzionale, quale obbligo incondizionato e di rango primario (Convenzione New York sui diritti del fanciullo del 1989 ratificato dall’Italia con legge 176/91 – Artt. 28 e ss. T.U.).
Nell’immediato, tutti i minori in procinto di diventare maggiorenni – già inseriti in percorsi scolastici, formativi e lavorativi, in carico agli Enti Locali – non riusciranno a convertire il proprio permesso di soggiorno al ompimento del 18° anno di età, vanificando così una consistente quantità di risorse pubbliche investite per la loro accoglienza e formazione. Vale la pena sottolineare che l’ammontare totale delle risorse statali destinate annualmente a questi progetti attraverso la rete nazionale di protezione dei minori stranieri non accompagnati è di euro 2.750.000, mentre il contributo richiesto per ogni singolo progetto può addirittura aggiungere la somma di euro 350.000. Queste ingenti somme di risorse pubbliche investite dall’ANCI, che si aggiungono a quelle erogate dai Comuni nell’ambito dei propri bilanci, per sostenere l’accoglienza, l’orientamento, la formazione e l’inserimento nei contesti socio-educativi dei minori presi in carico, sono vanificate da automatismi nell’applicazione della norma che impediscono il mantenimento di una posizione giuridica regolare al compimento del 18° anno di età, pur in presenza di un completo assolvimento del programma di integrazione concordato.
L’irregolarità della posizione giuridica non comporta però un automatico rientro nei Paesi di provenienza, ma piuttosto una crescente dispersione sul territorio, come attestano i dati in nostro possesso, con imprevedibili e gravi conseguenze di ordine pubblico e di sicurezza della intera comunità. Infatti i minori arrivati in Italia, come le loro famiglie, hanno sostenuto costi elevati in termini di risorse economiche ed affettive e vi sono ingenti investimenti oltre che aspettative familiari da ripagare. La ricaduta nella clandestinità può pertanto facilmente associarsi a fenomeni di lavoro nero e micro-criminalità, mettendo a rischio la coesione sociale. Inoltre le modifiche normative introdotte difficilmente potranno interrompere l’arrivo di minori non accompagnati. Ciò che invece si prospetta e desta preoccupazione è un significativo incremento nell’arrivo in Italia di minori sotto i 15 anni, dunque estremamente più vulnerabili alle reti criminali della tratta e dello sfruttamento.
Rispetto a questa situazione non appare più procrastinabile una attenta e severa riflessione sul ruolo e l’intervento dell’Ente Locale e degli altri Enti preposti (enti di formazione, aziende di servizi alla persona, associazioni sindacali, etc.) che non può essere necessariamente quello di formare “buoni clandestini”, tanto più con risorse dei cittadini. E’ necessario interrogarsi su quali basi possa proseguire il progetto ANCI divenuto insostenibile nel quadro normativo attuale, che ormai mortifica i legittimi percorsi di integrazione sociale ed economica dei minori non accompagnati. Infine ci preme sottolineare la situazione in cui versano i 45 ragazzi divenuti maggiorenni per i quali era stato avviato un programma di assistenza e di integrazione sociale prima dell’entrata in vigore della legge 94/09. Le istanze di conversione del permesso di soggiorno di questi cittadini sono da tempo al vaglio dell’Ufficio Stranieri della Questura e desta preoccupazione il fatto che 8 di queste si siano concluse con un provvedimento di diniego.
A nostro avviso, vi è un’ampia giurisprudenza costituzionale, di Cassazione e del Consiglio di Stato – di cui l’allegato al presente documento vuole essere un approfondimento – secondo la quale in questi casi la disciplina applicabile è quella precedente all’entrata in vigore della legge 94/09, in ossequio al principio generale del nostro ordinamento che regola l’efficacia della legge nel tempo. Infatti il principio di irretroattività costituisce un criterio generale cui uniformarsi, in carenza di deroghe (art. 11 disposizioni sulla legge in generale). L’art. 32 così novellato non contiene alcuna esplicita previsione della volontà del legislatore di conferire alla stessa un’efficacia retroattiva, derogando al principio generale, né alcun elemento che possa farci ritenere che le nuove disposizioni siano state dettate come chiarimento della precedente disciplina. Se venisse applicato anche alle prestazioni assistenziali avviate prima dell’8/8/2009, imporrebbe adempimenti impossibili, cosa che la legge non può fare. Pertanto appare incomprensibile che la data di presenza in Italia e di avvio del programma di assistenza – principali parametri su cui intervengono le modifiche introdotte all’art. 32 del T.U. – non siano considerati ai fini dell’individuazione della disciplina applicabile.
Attualmente abbiamo censito 45 casi di giovani, divenuti maggiorenni, che trovandosi in questa situazione hanno o potrebbero avviare un contenzioso con lo Stato italiano. Noi sottoscritti Enti crediamo che per questi cittadini sia possibile percorrere un’altra strada che nel pieno rispetto del principio di legalità non metta a rischio l’autorevolezza delle Istituzioni e la coesione sociale, oltre ai progetti di integrazione faticosamente perseguiti da questi cittadini.
Gli Enti proponenti:
Comune di Ravenna
Comune di Faenza
CGIL di Ravenna
CISL di Ravenna
UIL di Ravenna
CPFP della Provincia di Ravenna
ASP di Ravenna