Premesso che:
– alcune regioni italiane a partire dal 2018(Lombardia, Veneto ed Emilia – Romagna) hanno richiesto il regime di interesse anche nazionale, tra quelle indicate nell’art. 117 della Costituzione;
– l’Art.116, comma 3, della stessa Costituzione ammette il trasferimento a singole regioni che lo richiedano di “ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia, concernenti le materie indicate nell’art. 117;
– la richiesta , frutto di una interpretazione molto estensiva del citato articolo 116, a parere di molti addetti ai lavori, rischia di stravolgere in modo inammissibile lo stesso art. 117 e di violare i principi posti negli art.. 5 e 119 della Carta;
– nel mese di novembre 2022 è stato presentato dal ministro Calderoli un disegno di legge sull’attuazione dell’Autonomia Differenziata che presenta alcune caratteristiche che potrebbero suffragare il timore di uno stravolgimento dello spirito costituzionale:
a) al Parlamento è riservato un ruolo solo notarile senza possibilità di intervenire nel processo di formazione delle intese, dal momento che la Commissione bicamerale per le questioni regionali può esprimere un parere non vincolante e solo eventuale, mentre l’aula è chiamata a una “mera approvazione”, non potendo entrare nel merito dell’intesa;
b) allo Stato vengono sottratte alcune competenze legislative ed amministrative, tra cui quella sulla disciplina dei principi generali regolanti le singole materie, così alterando in modo inammissibile l’impianto del citato art. 117, che non prevede materie di esclusiva competenza regionale;
c) l’intesa tra Stato e Regione sarebbe modificabile solamente se quest’ultima fosse d’accordo;
d) l’intesa sarebbe approvata anche senza la preventiva definizione legislativa di livello essenziale delle prestazioni, costi, fabbisogni standard e perequazione strutturale;
e) il finanziamento del regime di autonomia avverrebbe in una prima fase utilizzando il criterio della spesa storica (la stessa che perpetua le attuali diseguaglianze tra territori), nell’ambito di un regime transitorio che non si sia come e quando avrà fine;
f) con la clausola di invarianza per la finanza pubblica (introdotta all’art. 7 del DDL) se una regione avrà più risorse per le maggiori funzioni assunte, è presumibile che altre regioni ne avranno meno;
g) risultano devolvibili anche materi di primario rilievo nazionale, come, ad esempio, scuola, sanità, infrastrutture strategiche, ambiente, lavoro, beni culturali, norme generali sull’istruzione, produzione e distribuzione nazionale dell’energia.
Visto che:
– è opinione diffusa che se questa scelta di devoluzione si realizzasse, a scapito del rafforzamento delle autonomie locali, sarebbe minata l’unità giuridica ed economica della Repubblica (art.2, 3 e 5 della Costituzione) con enormi complicazioni nel governo delle singole materie, in danno dell’uguaglianza dei cittadini, delle imprese e delle pubbliche amministrazioni;
– con la creazione del sistema delle Regioni fu reso implicito un rapporto di relazione e interdipendenza tra tutti i territori italiani tale per cui il sistema paese cresce o arretra assieme;
– la stessa Regione Emilia-Romagna, per voce del suo presidente, ritenga il ddl Calderoli un totale travisamento dei preaccordi del 2018 con Veneto e Lombardia, al punto da averne tradito spirito e intendimenti iniziali;
– molte Regioni e moltissimi Sindaci, tra cui quelli di Bari, Napoli e Bologna, hanno già manifestato contrarietà alle richieste ex-art.116 della Costituzione da parte delle tre regioni.
Considerato che:
il “Coordinamento per la Democrazia Costituzionale” ha lanciato su scala nazionale un “Disegno di legge di iniziativa popolare” per la modifica degli artt. 116 e 117 della Costituzione, a sostegno del quale ha avviato una raccolta firme, raggiungendo un totale di 106.000, quindi più del doppio richiesto dalla legge Questo documento è focalizzato sui seguenti obiettivi:
-ogni futuro disegno di legge attuativo della “autonomia differenziata” segua la via ordinaria dell’invio alle Camere, garantendo un approfondito dibattito pubblico nel Paese (esteso anche alle forze sociali ed agli addetti ai lavori) su scelte che potrebbero determinare conseguenze potenzialmente irreversibili a livello istituzionale, economico e sociale;
– il Parlamento mantenga un ruolo centrale anche nella valutazione di merito delle eventuali intese tra Stato e Regioni;
– prima di ogni eventuale intesa vengano obbligatoriamente definiti con le singole regioni livelli essenziali delle prestazioni, costi, fabbisogni standard e fondi perequativi, utili a stabilire le risorse necessarie a finanziare le prestazioni sulla base del principio di uguaglianza, vietando, per contro, regimi transitori coordinati da organismi privi di legittimazione politica;
– ogni eventuale trasferimento di materie avvenga nel rispetto dei principi di solidarietà e unità nazionale, garantendo maggiori risorse a quei territori in cui permangono “gap” infrastrutturali, economici e sociali col resto dell’Italia;
– l’eventuale processo di devoluzione avvenga nel rispetto del principio di sussidiarietà nell’esercizio delle funzioni amministrative e non si traduca in un accentramento regionale in danno delle autonomie locali;
– il riconoscimento di ulteriori e particolari forme di autonomia trovi fondamento in specifiche e dimostrate esigenze della Regione richiedente, compatibili con l’unità della Repubblica e col principio di uguaglianza.
Accertato che:
in Senato la maggioranza ha respinto la proposta delle forze di opposizione che hanno chiesto di invertire l’ordine del giorno per collocare la discussione del ddl Calderoli sull’autonomia regionale differenziata dopo l’esame della proposta di legge costituzionale di iniziativa popolare, proposta che -se approvata -imporrebbe di ridiscutere daccapo il ddl Calderoli
Si chiede quindi al Sindaco e alla Giunta:
- di sollecitare la Regione Emilia-Romagna ed i parlamentari eletti nei collegi della regione ad appoggiare in Senato la Legge Costituzionale di iniziativa popolare;
- di farsi promotore presso l’ANCI di una iniziativa di sensibilizzazione e, se necessario, di mobilitazione dei Comuni a sostegno delle ragioni dell’unità della Repubblica e del principio di uguaglianza, di fronte a spinte autonomistiche non basate su fondamenti di diritto rintracciabili nella Costituzione italiana.