L’Italia verso uno standard europeo? I posti passano da 3mila a 20mila.
Siamo di fronte a un nuovo anno zero per l’accoglienza in Italia di richiedenti e titolari di protezione internazionale. Con la pubblicazione della graduatoria del 29 gennaio da parte del Ministero dell’Interno il Sistema di protezione dei richiedenti asilo e rifugiati (Sprar) passa da un’accoglienza di 3mila persone (più o meno raddoppiata negli ultimi anni con i diversi ampliamenti) a quasi 20mila, ovvero da 141 a 456 progetti sparsi in tutto il territorio nazionale. Ci si avvicina dunque ad alcuni numeri europei, come a quelli francesi dove l’accoglienza nei Cada è predisposta per circa 21mila persone. Che il sistema di accoglienza italiano fosse da tempo al completo collasso è cosa nota, con denunce provenienti da ong come dai normali organi di informazioni e anche da alte istituzioni. In passato diversi tribunali amministrativi tedeschi avevano sospeso l’accompagnamento di richiedenti asilo verso l’Italia, in base al regolamento Dublino, per mancate garanzie degli standard minimi di accoglienza e un anno fa era intervenuta anche la Cedu a bloccare i trasferimenti di due somali sempre dalla Germania. Del resto la matematica, più di tanto, un opinione non è, e un sistema basato su qualche migliaia di posti nei Cara (di breve durata e di scarsa qualità), qualche altro migliaio nello Sprar più diversi centri comunali nelle grandi aree metropolitane, a fronte di una media di 20mila arrivi all’anno ha prodotto migliaia e migliaia di senza tetto. Persone che sono così costrette a vivere nuove situazioni individuali drammatiche che si sommano ai drammi già subiti nei paesi di provenienza e durante il viaggio. Dormire nelle stazioni, vagare per l’Italia in cerca di un dormitorio, stabilirsi in una delle tante occupazioni presenti soprattutto nelle grandi città. Solo a Roma, secondo l’ultimo rapporto di Medu, 2500 richiedenti e titolari di protezione sono senza fissa dimora. Nella capitale ci sono occupazioni oramai storiche come il “Salam Palace” a la Romanina dove sono riparate circa 1000 persone, o quella alla Collatina, dove sono oltre 500. Queste condizioni non solo generano sofferenza ed esclusione anche dall’accesso ai diritti più elementari, come quelli a tutela della salute, ma sono spesso dei vicoli ciechi da cui è molto difficile uscire per iniziare un vero cammino verso un inserimento sociale e lavorativo in Italia.
Questo storico ampliamento dello Sprar dovrà essere la base perché si possa iniziare a parlare di accoglienza anche in Italia e magari anche di rispetto dei più basilari diritti umani. Uno degli obiettivi che si pone è anche quello di decongestionare le grandi aree metropolitane. Di fatto in città come Roma, Milano e Torino la capacità recettiva non viene aumentata, ma semplicemente i centri comunali entreranno in convenzione con lo Sprar. La sfida è quella di valorizzare tutto il territorio italiano, dirottare l’accoglienza soprattutto nei piccoli centri, nella speranza anche che progetti di piccole dimensioni siano più facilmente gestibili ed abbiano maggiori capacità di tessere rapporti con il territorio per favorire l’autonomia degli ospiti una volta usciti dai progetti. Lavorare sull’autonomia sarà anche questa un’altra grande sfida, soprattutto se consideriamo che la maggior parte dei progetti sono concentrati nel sud Italia, in particolare in Sicilia, dove le prospettive di inserimento lavorative sono molto più deboli che al nord. Sulla cosiddetta integrazione servirà comunque un grande sforzo che parta a livello centrale. L’occasione potrà essere il nuovo strumento che viene previsto nello schema del decreto legislativo di recepimento della nuova Direttiva qualifiche 2011/95/UE, ovvero l’adozione di un documento programmatico degli interventi e delle misure volte a favorire l’integrazione dei beneficiari di protezione internazionale che sarà predisposto da un apposito Tavolo di coordinamento in cui parteciperanno, oltre ai ministeri dell’Interno, Lavoro, Integrazione, Regioni, Anci, Upi, Unhcr e Commissione nazionale Asilo. Staremo a vedere poi quante saranno le risorse che verranno messe a disposizione per questi futuri interventi per l’integrazione.
Infine si spera sia un anno zero anche per la primissima accoglienza. Con la circolare dell’8 gennaio il Ministero dell’Interno sollecitava le Prefetture a reperire strutture di accoglienza per un’accoglienza temporanea dei richiedenti protezione in attesa del loro ingresso nello Sprar. Il modello quindi è ancora una volta quello della diffusione della responsabilità dell’accoglienza in tutto il territorio italiano, alleggerendo il peso gravante sino ad ora in particolare sulla Sicilia, e quello di strutture di piccole medie dimensioni (si parla di 20/50 posti). Speriamo quindi che sia anche l’ultimo capitolo dell’esperienza dei Cara e dei mostruosi centri come quelli di Mineo. A fare da pilota a questa nuova linea di accoglienza è stata Trieste dove il 29 aprile del 2013 è stato firmato un protocollo di intesa fra Prefettura e Comune per la prima accoglienza dei richiedenti protezione. A fronte di 29,5 euro al giorno rimborsati dal Ministero dell’Interno il Comune, tramite il privato sociale (Ics e Caritas) garantisce posti di prima accoglienza per persone che attendono di entrare in un progetto Sprar. Attualmente in questo sistema, formato da una rete di appartamenti, sono accolte oltre 230 persone.
Chiusura sul locale. Ravenna continua a fare la sua parte. Il progetto Sprar, già attivo dal 2001, passa da 45 posti a 60, con un’ulteriore disponibilità in caso di ampliamento di 18 posti. Peccato che in provincia non ci sia stato altro Comune che si sia fatto avanti.