Era solo un bambino quando il 3 settembre 1938 andò a comprare il giornale per il padre e il titolo riportato in copertina – “Insegnanti e studenti ebrei esclusi dalle scuole governative e pareggiate” – cambiò radicalmente la sua vita.
“Io non ho più potuto avere amici – ricorda – e per me è stata una cosa terribile”.
Si stava per pubblicare il regio decreto che preannunciava le leggi razziali; di lì a circa due mesi tutti gli ebrei, insegnanti e studenti, sarebbero stati espulsi dalle scuole, di ogni ordine e grado. Soltanto una delle numerose e disumane restrizioni e divieti posti dalle leggi approvate da Benito Mussolini e dal re Vittorio Emanuele III.
È un ricordo fulgido quello di Cesare Moisè Finzi, nonostante siano passati quasi 82 anni da quel giorno, un ricordo che Finzi continua a far affiorare molto spesso, raccontando a platee di giovani studenti cosa successe in quegli anni. Di come bambino riuscì a fuggire con i suoi genitori da Ferrara verso sud, passando per Ravenna, dove ebbero l’aiuto fraterno della famiglia Muratori, riconosciuta poi tra i “Giusti fra le nazioni”. Non smise mai di studiare nonostante il divieto di frequentare la scuola; dopo la guerra si laureò in Medicina, specializzandosi in Cardiologia.
A Finzi è stata conferita la cittadinanza onoraria di Ravenna oggi, nell’ambito delle iniziative legate al Giorno della Memoria, in un teatro Alighieri colmo di studenti, oltre seicento, durante una seduta straordinaria del consiglio comunale, che qualche giorno fa ha approvato all’unanimità la proposta, del sindaco Michele de Pascale; erano tra gli altri presenti componenti della famiglia Muratori, del rabbino di Ferrara, del prefetto, del questore, di autorità civili e militari, del sindaco di Faenza.
Questa la motivazione del conferimento della cittadinanza onoraria: “Il Comune di Ravenna conferisce a Cesare Moisè Finzi la cittadinanza onoraria quale riconoscimento del prezioso lavoro di diffusione di memoria e per l’alto valore civile, sociale e culturale della sua testimonianza di sopravvissuto alla tragedia della Shoah; per il suo impegno nel trasmettere alle giovani generazioni valori di pace, solidarietà, uguaglianza, difesa dei diritti umani, che sono alla base della Costituzione italiana; per il profondo legame con Ravenna, nella quale, al tempo, trovò rifugio e accoglienza presso la famiglia Muratori e dove, da decenni, incontra ragazzi e ragazze delle scuole, trasferendo loro la conoscenza dei drammatici effetti delle leggi razziali, aiutandoli a combattere i pregiudizi, ispirandosi ai principi di libertà, democrazia e di rispetto delle persone”.
“Voi giovani siete la nostra speranza – ha detto Cesare Finzi durante il suo racconto accorato ed emozionante – il motivo di vivere, di continuare a vivere è quello di incontrare i giovani e di far sapere loro quello che è stato perché non rifacciano gli stessi errori”.
Cesare Finzi ne è fermamente convinto e prosegue instancabilmente i periodici incontri nelle scuole, quasi a voler anche tenere vivo in sé quel bambino che si vide escluso e confuso dagli accadimenti: “Pensate a quel ragazzino che durante la guerra doveva sperare che l’Italia perdesse, ma lui era italiano: come poteva sperare che l’Italia perdesse la guerra!?”.
Accanto al ricordo dello sconcerto per la discriminazione anche quello per la leggerezza con cui sentì parlare di morti per risolvere il conflitto. Uno sconcerto e un dolore che non hanno però minato la sua visione della vita: ancora, alla soglia dei 90 anni, positiva e aperta al futuro, alla diversità e preoccupata da un solo nemico, l’ignoranza: “Il ricordo è importante perché da esso parte la conoscenza e non ci può essere ricordo senza il sapere cosa è successo. Molte persone non sanno nulla, ignorano, perché non è stato insegnato loro a conoscere e apprezzare la diversità di ognuno di noi, che è ricchezza. Nessuno di noi è uguale all’altro, nemmeno tra gemelli!”.
Al seguente link è possibile vedere un video: https://youtu.be/fruBEhXK6jI