Il 18 settembre ha aperto la mostra “Dante e d’Annunzio”, organizzata dalla Fondazione “Il Vittoriale degli Italiani” e dalla Biblioteca Classense, allestita nel museo “d’Annunzio segreto” del Vittoriale, a Gardone Riviera, in provincia di Brescia.
L’evento è inserito nel programma delle celebrazioni per il I Centenario del Vittoriale e in quelle del VII Centenario della morte di Dante.
La mostra segna lo straordinario “ritorno a casa” dei celebri sacchi inviati esattamente cento anni fa da Gabriele d’Annunzio a Ravenna per celebrare il Secentenario della morte di Dante. Si trattò allora di una cerimonia seguitissima, nell’ambito delle celebrazioni dantesche ravennati, in un periodo storico in cui il grande fiorentino era considerato, oltre che il più importante poeta della storia italiana, anche il padre della Patria, in una nazione che aveva appena vinto la Prima guerra mondiale. Ai sacchi, ideati da d’Annunzio e realizzati da Adolfo De Carolis, si è accennato sabato scorso anche in alcune relazioni presentate al convegno “Il «Dante della Vittoria»”, organizzato dalla Fondazione “Casa di Oriani” in collaborazione con la Fondazione “Libro Aperto”.
Nel percorso di mostra, curato da Giordano Bruno Guerri, presidente della Fondazione Il Vittoriale degli Italiani, e da Benedetto Gugliotta, responsabile dell’Ufficio tutela e valorizzazione della Biblioteca Classense, si raccontano, con oggetti unici e straordinari, episodi del lungo e complesso rapporto tra il Vate e il Sommo Poeta. I sacchi, insieme a molti altri cimeli, fanno oggi parte delle collezioni dantesche della Biblioteca Classense e, al loro ritorno a Ravenna, verranno collocati a Casa Dante, la nuova struttura che completa, con il nuovo Museo Dante, l’omaggio al Sommo Poeta della città per il Settecentenario.
Tra le altre opere in mostra al Vittoriale, un bozzetto di Guido Cadorin per il concorso di decorazione della Chiesa di San Francesco (1921), due libri di firme contenenti autografi dei visitatori della tomba di Dante e della Classense – e tra essi quelle di d’Annunzio e di Eleonora Duse – e un’edizione della Francesca da Rimini dedicata e donata alla città nel 1902.
Il Vittoriale arricchisce l’esposizione con la silografia del Dantes Adriacus commissionato dal poeta ad Adolfo De Carolis, il busto dell’Alighieri realizzato dallo scultore Onorio Ruotolo e dono degli italiani di New York, altri preziosi materiali documentali e a stampa provenienti dagli archivi e dalle biblioteche del Vittoriale fra cui la preziosa edizione della Commedia stampata da Leo S. Olschki nel 1911, in occasione delle celebrazioni per il cinquantenario dell’Unità d’Italia.
La mostra sarà visitabile fino al 31 dicembre prossimo e per l’occasione è stato ideato un gadget che replica perfettamente i sacchi, un piccolo sacco di 16x20cm anch’esso riempito di foglie d’alloro e in vendita al Vittoriale. Il gadget sarà prodotto e messo in vendita anche a Ravenna al ritorno dei sacchi dalla mostra sul Garda.
Durante la giornata è stato inaugurato anche il nuovo Museo della Santa Fabbrica “Giancarlo Maroni”, per celebrare l’opera e la memoria dell’architetto del Vittoriale.
La storia dei sacchi
Il 1921, anno del sesto centenario della morte di Dante, fu anche l’anno in cui Gabriele d’Annunzio, deluso per la disastrosa conclusione dell’impresa di Fiume e in rotta con l’Italia governativa e ufficiale, orchestrò dalla villa di Cargnacco sul Garda il suo personale omaggio al Sommo Poeta. Invitato dal sindaco di Ravenna come ospite d’onore, il Vate si negò all’ultimo momento ma alla città bizantina inviò tre sacchi colmi d’alloro su altrettanti aerei pilotati da aviatori della Squadra del Carnaro. Gli umili sacchi di juta furono decorati da De Carolis con le stelle dell’Orsa maggiore, con ghirlande d’alloro e soprattutto con il motto “Inclusa est flamma”, “la fiamma è all’interno”, dettato da d’Annunzio. I sacchi trasportavano dunque, oltre al lauro segno di gloria e di immortalità, anche una fiamma simbolica destinata ad alimentare quella che ardeva, allora come oggi, nella tomba di Dante. Il Vate istituiva in questo modo un ardito e affascinante parallelo tra la fiamma ravennate e quella del tempio di Apollo a Delfi, cuore della nazione greca in epoca classica. Il sepolcro di Dante venne così elevato a vero e proprio “altare della Patria”, capitale ideale dell’Italia uscita vincitrice, ma con le ossa rotte, dalla Grande Guerra.