Le torri Hamon rappresentano a Ravenna un dibattito aperto da decenni; personalmente sono tra quei ravennati che vivono con nostalgia l’idea di perdere questo tratto ormai identitario del nostro skyline. In particolare mi sono molto riconosciuto nelle parole dell’ex sindaco Vidmer Mercatali, che credo conosca la vicenda di allora meglio di chiunque altro.
Tuttavia credo che ci siano delle circostanze nelle quali è necessario prendere atto della realtà dei fatti più che dei nostri auspici, seppur legittimi – e in questo caso per quanto mi riguarda anche condivisibili, e lo dico nel rispetto di tutte le opinioni che si sono espresse in questi giorni sia quelle a favore che quelle contrarie all’abbattimento – infatti ci troviamo davanti ad alcuni elementi oggettivi che non possono essere ignorati:
- lo stato di eccezionale vetustà delle torri, che erano ammalorate già negli anni ‘90;
- la condizione di inquinamento dell’area dove sorgono le torri, che rende proibitiva qualsiasi forma di rigenerazione urbana con usi civili;
- la prossimità con impianti portuali che gestiscono prodotti incendiabili a rischio rilevante;
- l’enorme costo di un’eventuale ristrutturazione e bonifica che dovrebbe essere finalizzato al mero mantenimento e non alla fruizione. Tutte le proposte rispetto a eventuali funzioni civili, ricreative e dello spettacolo, seppur suggestive, sono infatti totalmente incompatibili con lo stato di inquinamento dell’area e con la prossimità con attività petrolifere e chimiche a rischio rilevante.
In aggiunta a questi dati, purtroppo oggettivi, va aggiunto che nessuno nella storia della città ha mai ravvisato gli estremi per apporre un vincolo architettonico sulle torri Hamon, né gli strumenti urbanistici preesistenti del Comune di Ravenna, né la Soprintendenza, alle cui competenze ci dobbiamo rimettere anche oggi.
Nel momento in cui l’Autorità portuale ci ha confermato l’intendimento di andare avanti col progetto del parco fotovoltaico – che per diverso tempo è sembrato a serio rischio – ed Eni ci ha formalizzato con una CILA l’intenzione alla demolizione, proprio per l’alta rilevanza sociale che pensiamo rivestano le torri, ho immediatamente dato comunicazione a tutta la comunità perché giustamente si potesse aprire un dibattito pubblico fra istituzioni e cittadini.
Ravenna sul tema dell’archeologia industriale ha fatto scelte molto importanti: il museo Classis è uno dei progetti di recupero industriale più significativi in Italia, l’Almagià è stato ai tempi un intervento premonitore ed è oggi oggetto di un ulteriore intervento di riqualificazione attraverso l’Atuss, alcuni interventi privati di grande qualità architettonica lungo la Darsena a cui presto si unirà l’area ex-CMC.
E in questo senso se dovessi focalizzare oggi una sfida aperta, sicuramente sarebbe rappresentata dal Sigarone, anche con una doverosa revisione delle scelte operate in passato in termini di maggiore attenzione a non alterare la forma architettonica originale e a una finalizzazione ad usi maggiormente pubblici.
Purtroppo per quanto riguarda le torri Hamon oggi la scelta a cui ci troviamo presumibilmente davanti è quella tra due fabbricati oggi fatiscenti, che progressivamente perderebbero anche la loro immagine originale andando verso la totale rovina, o una progettualità ecosostenibile finanziata dal Pnrr che rifunzionalizzi l’area e la renda sicura da un punto di vista ambientale, comprensibilmente ritenuta non compatibile con il mantenimento delle torri da parte dell’Autorità portuale.
Gli aspetti culturali sono insiti in qualsiasi attività dell’uomo, questa riflessione che vale ovviamente per la memoria architettonica degli edifici e dei segni nel paesaggio e dunque, anche se le torri rappresentano da un lato la crescita industriale di Ravenna e dall’altro un’epoca in cui l’industria era nociva per la salute, simbolizzano comunque un elemento culturale importante; allo stesso modo è culturalmente rilevante ed evocativo il fatto che dove c’era una raffineria petrolifera, segno nel contempo del lavoro e dell’inquinamento, sorga oggi non solo un parco fotovoltaico, ma un impianto innovativo anche finalizzato alla produzione di idrogeno verde.
Questo dà il senso di come la Ravenna che ieri dall’essere solamente agricola è diventata industriale, oggi, a distanza di un secolo, rilancia verso il futuro; anche questo aspetto racchiude non solo una valenza economica e climatica, ma anche una valenza culturale.